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Storia di Agira » Preistoria di Agira » Mappa del sito
PREISTORIA DI AGIRA

L'attuale conglomerato urbano di Agira si abbarbica sul fianco ovest del monte Teja su un suolo di tufo calcareo delle fine del pliocene con falde di suolo aranaceo. Il sottosuolo, una volta ricco di zolfo, contiene anche strati di cloruro di sodio. Litologicamente il suolo di Agira è piuttosto complesso è in gran parte rappresentato da sedimenti di antichissime "facies marine" prevalentemente argillose. Dell'era quaternaria, inglobati nelle umide pareti di grotte e anfratti sono venuti fuori resti di ossa di mammiferi del tardo pleistocene (elefanti, ippopotami, rinoceronti) presupponendo una diversa paleogeografia dell'ambiente circostante. Un habitat idoneo ad una fauna amante delle boscaglie e di estese paludi. Oggi non esistono più bacini naturali di acqua stagnante; il sistema idrografico agirino è formato da due corsi d'acqua non perenni: il salso (dal greco Alykos) a nord e il Dittaino a sud. Numerose le fontane parte delle quali non più attive: Orselluzzo, Buccale, Lavandaio, Trefontane, Gebbie, Capodoro, Lardillusa, Catena, Salice. Nei primi anni del novecento, esattamente nell'agosto 1904, durante una sollevazione popolare venne dato alle fiamme il Municipio di Agira e con esso il famoso "libro rosso", una specie di archivio storico su cui da secoli erano annotati resoconti, avvenimenti storici e l'originaria ubicazione dei monumenti più vetusti. Con la perdita dell'antico manoscritto non resta che raccogliere qualsiasi informazione, anche le dicerie popolari per fare una ricostruzione ideale dell'antica Agyrion. Ed è quello che questo sito ha fatto. Iniziamo con l'accennare di recente spedizione diretta dalla d.ssa Guerri dell'II.PP di Firenze, la quale ha rinvenuto in un riparo sotto roccia (riparo u.longo) una stazione umana risalente al paleolitico superiore con manufatti in arenite quarzifera. Verso il 1300 a.C. gruppo di umani o qualche tribu originaria dell'area appenninica, si trasferì dalle pianure costiere ai centri montani arroccati dando vita a piccole comunità presso le attuali Enna, Assoro, Centuripe e Realmesi vicino Calascibetta. Probabilmente è solamente verso il XIII secolo a.C che le prime ondate di immigrati interessarono l'area agirense, i cosiddetti Sicani, in cerca sicuramente di un rifugio. Alquanto contrastanti le ipotesi degli storici sulle origine di Agira. Lo storico Maggiore indica il paese come un 'arcaico stanziamento siculo risalente al 1370 a.C mentre l'Amico afferma, nel suo dizionario topografico che Agyrion fu fondata dai Sicani. Le sole testimonianze dell'epoca sono rappresentate solamente da alcune tombe a grotta artificiale, talora con nicchie, scomparti e parvenze di guanciali intagliati nel calcare. Questa piccola necropoli si affaccia sul lato Nord Est del paese, sopra la torre di San Nicola. I cadaveri, cosparsi di ocra rossa (da qui lo strano colore rossastro della torre) venivano inumati accostati l'uno con l'altro in posizione rannicchiata in modo da occupare pochissimo spazio. Il più delle volte, a questo risto si associavano alcuni oggetti come mazze di quarzite di forma ovoidale schiacciata e qualche ceramica solitamente acrona. Dette sepolture furono scavate con certosina pazienza utilizzando rudimentali scalpelli di arenite e mazze di amigdale. Si presume che questi indigeni del neolitico agirense raramente si avventuravano a fondovalle tranne qualche coraggioso per andare a caccia o per raccogliere frutta, radici, legna, lumache. E' quella piccola comunità che dobbiamo considerare a tutti gli effetti i nostri avi storici. Adesso è importante risolvere un argomento che si presenta contraddittorio ed ingarbugliato. Si ignora, infatti, da dove derivi l'esonimo di "Agira". Tommaso Falzello affermò che il nome abbia avuto origine dall'argento che si ricavasse dalle sue rocce. L'affermazione del Falzello è comunque piuttosto paradossale in quanto le rocce di Agira non contengono affatto il prezioso metallo ma elementi gessosi cristallizzanti che ne danno quella particolare brillanteza e che hanno potuto trarre in inganno il religioso archeologo. A questo punto sembra ovvio riferirci ad un altra fonte storico, Diodoro Siculo. La sua versione del nome di "Agira" sembra la più plausibile e probabilmente quella veritiera trattandosi tra l'altro della sua città natale. Secondo l'illustre storico, l'esonimo deriva da "Argiri", antico tiranno del luogo, che visse all'epoca di Dionisio il vecchio. Argivi, eroicizzato e divinizzato dai suoi sudditi col nome greco di Argyrion, diede il nome alla sua città. Andando indietro di qualche millennio, nel VII secolo a.C. troviamo Agira immersa nella protostoria e governata da bellicosi siculi fedeli al proprio capo. Dopo la morte di quest'ultimo gli verranno attribuiti sacrifici e adorazioni varie. Riandando, con la leggenda, agli antichi luoghi del paese, sovvengono numerosi i ricordi. Un monte ad ovest di Agira che domina la vallata dell'Alykos porta ancora oggi un nome mitico: Serra d'Anteo. Questa denominazione trae origine dal favoloso gigante figlio di Gea dotato di immensa forza che uccideva chiunque si avventurasse nei suoi paraggi. Eracle, riuscì a stento ad avere ragione di Anteo anche se la Terra (Gea) sua madre gli infondeva sempre nuove forze. Un'altra leggendaria e gigantesca divinità locale, appare Gerione e Gerone, citato anche da Diodoro nel IV libro delle sue Istorie. Questo incredibile personaggio si oppose all'eroe greco che, sempre secondo Diodoro, nel 1299 a.C. si fermo ad Agira. Si racconta che Ercole sfidò Gerione al quale, dopo aver sottratto un armento di giovenche sacre lo uccise. In quell'istante le orme delle bestie si impressero sulla roccia come su creta molle. Il dato certo è che gli agirensi dedicarono il loro culto, oltre che alle divinità tradizionali, anche ad Ercole coniando monete con l'effige dell'eroe e dedicando una delle entrate della cinta muraria dell'acropoli: Porta Ercolana che si trova più o meno nell'attuale via Lunga. Il nome di questa strada porta a pensare che sia stata la "Decumana" più importante che saliva nella cittadella greca, la cosiddetta "Odos Ierà" o via sacra. Più a monte, sotto un tratto dell'antico basamento della Valonga o via Lunga, 50 anni fà (1950 circa,per lavori di fognatura) vennero portate alla luce alcune sepolture (depredate dagli operai e dalle maestranze) che fecero supporre dell'esistenza di una piccola necropoli tardo-greca. Altra necropoli, ormai scomparsa per gli scavi clandestini e per lo smottamento del terreno, si trova presso la torre di S. Nicola in un tratto sopra la s.s.121. Da questa necropoli provengono gli abituali corredi funebri trafugati sistematicamente dagli abituali scavatori. Ritornando al IV libro dello storico agirense, leggiamo che"...Ercole, grato dell'accoglienza ricevuta da parte degli abitanti di Agira scavò un lago largo circa 4 stadi. Più che scavarlo, sbarrò a valle l'invaso naturale formato dai Timpuna, le collinette dove attualmente sorge il campo di calcio ed il complesso delle scuole, con l'altra collina di S. Maria di Gesù posta a occidente, convogliandovi le acque di un'antica sorgente vicina e quella piovana che scendeva copiosa dall'odierna circonvallazione e parte da qualla che oggi prende il nome di via Portosalvo. creò in tal modo una notevole riserva idrica dalla quale ciò che eccedeva andava a riversarsi lungo "U vadduni a 'Mardia", per via del quartieri degli Angeli. Per avvalorare ciò è constatabile che durante la costruzione della scuola elementare, gli addetti allo scavo delle fondamenta trovarono un compatto strato di argilla impermiabile con falde acquifere ancora oggi esistenti. Diodoro cita anche due diverse costruzioni dedicate una a Gerione e l'altra a Jolao con il capo cinto dalla benda della vittoria. Si presume quindi che Jolao abbia partecipato alla prima competizione olimpica anche se Ercole era vissuto cinque secoli prima. L'unica spiegazione plausiubile ma fantasiosa è quella dell'immortalità dell'eroe greco. Diodoro, già citato più volte, affermava dire con un certo orgoglio "...non enim ex Argyrio oppido oriundi..." cioè "noi siamo originari di Agira, castello della Sicilia". Agira vantava costruzioni maestose e immense come "... il più grande teatro, dopo quello di Siracusa, con torri di magnifica opera e bellissimo artifizio...". Appare evidente che si accenni alle fondamente dei torrioni del castello e ai resti di un muro a blocchi squadrati, ora basamento della chiesa di S. Margherita. Una traccia palese di una costruzione sacra esisteva fino al 1900, il cosiddetto tempio di Diana sempre nei pressi di S. Nicola. Circa 25 anni addietro invece, una ruspa che eseguiva lavori di svangamento, portò alla luce parti di colonne e capitelli in stile corizio in contrada Lavandaio. I pochi reperti trovati furono segnalati alla d.ssa Amalia Curcio, allora direttrice del Museo Paolo Orsi di Siracusa, che li indicò appartenenti ad un periodo tardo-greco. Da ciò presumiamo che sul posto esisteva un santuario dedicato ad Artemide. Anche Diodoro, alle pagine 502 e 503 del secondo tomo della sua Biblioteca Storica, accenna ad un tempio dedicato questa divinità. Questo è tutto quello che resta della storia dell'antica Agyrion. Poco in verità se improvvisati collezionisti e abituali profanatori di tombe non avessero sottratto al patrimonio archeologico locale preziose testimonianze del passato. Nel I secolo d.C. emerge l'opera di vangelizzazione di San Filippo Siriaco, più tardi patrono di Agira. Originario della Siria abbraccio giovanissimo il sacerdozio. Arrivato nel nostro paese nel 50 d.C., dopo aver evangelizzato Malta e diversi centri siciliani (tra i quali Aidone (Enna) e Limina (Messina) visse il resto dei suoi anni ad Agira dove si ritirò in una grotta precedentemente usata dalle popolazioni indigene. Asceta, atleticamente molto dotato, iniziò la conversione del popolo agirense da novello Ercole. Filippo sfidò infatti i più invasati degli idolatri in ogni prova fisica e da come raccontano i nostri padri e nonni li rese "con le buone e le cattive maniere" mansueti cristiani. Distrusse i templi pagani e su quello dedicato ad Ercole fece erigere la prima basilica paleocristiana oggi Abbazia di S. Maria Latina, che nella sottostante cripta conserva le spoglie del Santo e, sotto le sue fondamenta, la pianta del tanto cercato "tempio perduto".                                                                                                                                                                                                                   
   
 
 
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